INSULATION SPAGHETTI
Discorso semiserio sull’uso e l’abuso di barbarismi tecnici e non

(Francesco Paolo Caracausi, ELETTRONICA FLASH, settembre ’89)




Da sempre gli uomini di tutto il mondo si sono incontrati o scontrati e credo di non sbagliare affermando che non esiste alcun popolo al mondo che non abbia nel suo vocabolario almeno un termine di provenienza esterna.

Scorrendo la storia cruenta delle conquiste territoriali e la storia incruenta della diffusione delle idee e della cultura, si scoprono tutti quei termini che in qualche modo si sono integrati alle culture autoctone.

Così, sfogliando una rivista di elettronica, scopriamo che negli Stati Uniti il tubetto isolante viene chiamato “insulation spaghetti” (sarebbe stato meglio bucatino), mentre in italiano (?!) viene anche chiamato “tubetto Sterling”. Pasta, pizza, si chiamano così in tutto il mondo, ma anche termini più seri come quelli musicali (adagio, allegro, ecc.) si chiamano così in Gran Bretagna come in Russia.

Le sostanze chimiche, in inglese, si chiamano con i nomi latini, così pure stelle e costellazioni. Ma l’elenco potrebbe essere molto lungo e portarci molto lontano, per cui preferisco troncare qui, così, presi dalla curiosità (?), sarete indotti a sfo­gliare un vocabolario di una qualunque lingua straniera.

Si fanno più riferimenti all’inglese poiché la cultura anglosassone, nel campo dell’elettronica ed in molte altre branche tecnico-scientifiche, svolge attualmente il ruolo di cultura dominante, ma il discorso generale vale per tutte le lingue.

In altre epoche ed in particolari campi fummo noi i dominatori culturali. Oggi no, e le cose si complicano un po’ assumendo a volta aspetti ilari o sconcertanti.

Si assiste infatti al grande contrasto fra il nazio­nalismo sfrenato tutto teso al vano tentativo di porre un argine ai barbarismi, e l’accettazione di tutto quello che ci viene offerto senza ritegno (leggasi: senza un serio filtro culturale) dai mezzi di comunicazione quali radio, televisione, giornali.

Come spieghereste infatti i circa 6000 neologi­smi in più fra l’edizione 1973 e 1983 deI dizionario Zingarelli? Neologismi comunque non tutti di ori­gine aliena.

Accanto a termini intraducibili o quasi, che però fortunatamente hanno mantenuto in italiano lo stesso significato originario (es. jet, snob, sur­plus, ecc.) ci sono termini presi a caso, per moda, per idiozia, per darsi un tono, per ignoranza del corrispettivo italiano, per pigrizia (di consultare il vocabolario), per incertezza, termini che infiorano le denominazioni delle società, le insegne dei negozi (nella mia felicissima città una macelleria ha l’esotica insegna “ la boutique de la viande ”), e le bocche degli incauti messaggeri di cultura (o pseudo-cultura?) purtroppo possessori o utenti dei mezzi di comunicazioni di massa (es. casual, blitz, mass-media, know-how, prime rate, golpe, ecc.).

La lingua è una cosa viva, in evoluzione (=miglioramento). Lì dove è possibile una tradu­zione univoca, allora ben venga, ma è da evitare, a mio avviso, qualsiasi traduzione che possa generare confusione o errate interpretazioni, sia del testo originario che del testo tradotto. Alla non traduzione dovrebbe accompagnarsi una spiega­zione, cammin facendo o a parte in glossario, del concetto sottinteso al termine “barbaro”.

Termini come emitter follower , ad esempio, o voltage control , ecc. possono essere tradotti facil­mente perché esiste (a parte qualche preposizio­ne articolata) una corrispondenza biunivoca fra la parola italiana e quella straniera. Ma come si fa a tradurre univocamente parole come bit , sweep , burst , byte , software , senza mettersi a ridere? I francesi, che in fatto di sciovinismo hanno pochi rivali, hanno provato a tradurre byte in ottet , e computer in “ ordinateur ” (ordinatore, nel senso di chi mette ordine).

Secondo me, in questi casi sarebbe meglio limitarsi a riportare ed usare le parole così come sono, data l’impossibilità di una traduzione univo­ca (seria).

A volte poi, quando alla ostinazione del voler tradurre a tutti i costi si associa l’incompetenza del traduttore nella specifica materia oggetto del te­sto, si raggiungono aspetti grotteschi come “condensatori interrotti” ( switched capacitors ), “cavità del cristallo” (xtal socket), ecc. E questi casi sono facilissimi in medicina, elettronica, fisi­ca, ecc. (attenti ai manuali di istruzione!).

Ma il discorso non riguarda l’inglese in partico­lare, ma le traduzioni in genere, sia quelle tecnico-scientifiche che quelle letterarie, ove però la per­dita riguarda la poesia e la musicalità della lingua.

Sensibili a tale situazione alcuni editori infatti, molto intelligentemente pubblicano antichi testi o testi stranieri tradotti sì, ma con testo originale a fronte.

Nelle traduzioni di opere di tipo scientifico o tecnico invece, una traduzione forzata di termini “intraducibili” o di nuovo conio, fa perdere la chiarezza, la univocità, la comprensione di un discorso necessariamente rigoroso in quanto scientifico o tecnico.

Ma non vorrei dilungarmi per evitare che il motivo ispiratore di questo articolo sia frainteso tanto da richiamare crociati ed infedeli nell’infido campo della polemica. Bedda matri chi focu granni ( o )!”

Con la dovuta umiltà dedico questo lavoro ai miei “colleghi” divulgatori, ma spero che anche i solo-lettori abbiano tratto beneficio dalla lettura di queste righe.

Ringrazio comunque tutti coloro che hanno avuto la forza e la bontà di seguirmi fin qui.

Bibliografia

^ Popular electronics, 1/74

^ Luigi Pirandello - Come si parla in Italia - Saggi poesie scritti vari – Mondadori

^ Luigi Pirandello - Per la solita questione della lingua - op.cit.

Nota

( O ) Espressione idiomatica di genesi incerta, ancora in uso presso i popoli sicilioti del XX secolo, per esprimere paura e stupore per un grande ( granni ) e nefasto evento assimilabile per gravità al fuoco (focu) invocando la Madonna, la Madre ( matri ) per antonomasia, quindi la più bella ( beddra ) fra le madri, per aiuto, conforto e materna comprensione.